30/12/16

Capodanno, la magica notte a cavallo tra un anno e l'altro: superstizioni, cibi e tradizioni

Proponiamo un articolo sul folklore e la tradizione del Capodanno scritto da Paola Rocco il cui romanzo, “La carezza del ragno,” sarà nelle librerie fra pochi giorni. Il pezzo è già apparso sulla rivista on-line “Vivavoce”.

Mangiar carote, lenticchie o piselli garantisce un'annata prospera, bere birra fresca fa ringiovanire: le usanze e le superstizioni legate alla notte di Capodanno, la magica notte a cavallo tra un anno e l'altro, sono davvero numerosissime.
Tutti sanno, comunque, che per propiziarsi la sorte è bene indossare qualcosa di nuovo e di rosso, con analogia al rinnovarsi del ciclo delle stagioni nel solstizio invernale. Capodanno segna infatti un momento di passaggio e rigenerazione a conclusione dei dodici mesi dell’anno e per questo motivo il suo numero simbolico è il 13, con allusione appunto al rinnovamento ma anche alla ripetizione del carosello stagionale.
Nei tarocchi, il numero tredici corrisponde all’Arcano della Morte, che vi è raffigurata tradizionalmente in mantello nero, falce e scheletro: ogni passaggio da un vecchio a un nuovo stato è infatti una sorta di ‘morte’.
Quest’associazione è tuttavia uno dei motivi per cui al 13 viene spesso attribuito un significato negativo (oltre al fatto che all’Ultima Cena parteciparono tredici convitati, i dodici Apostoli e il Cristo), benché la radice profonda della negatività che circonda questo numero risieda nel fatto che “il 13 è uno dei numeri che va oltre ogni sistema chiuso, tant’è vero che nelle fiabe nessuno può aprire impunemente la tredicesima porta” (A. Cattabiani, ‘Lunario’).
Un discorso a parte vale per gli inglesi, per i quali il 13 è il numero del boia (ossia, ancora, della morte) in quanto in passato la paga di quest’ultimo ammontava a uno scellino e un penny, cioè appunto 13 pence.
Comunque tutto il periodo legato al solstizio d’inverno era considerato sacro nell’antica Roma e celebrato con le feste dei Saturnali (dal 17 al 24 dicembre), così dette in onore di Saturno, il dio dell’età dell’oro che presiedeva alla rinascita annuale del cosmo profondendo doni. Di qui anche l’uso di scambiarsi regali o ‘strenne’: il termine risale al latino Strenia, dea d’origine sabina apportatrice di fortuna e felicità.
In un boschetto sulla via Sacra a lei consacrato i Romani fin dall’antichità usavano coglier ramoscelli e piccoli arbusti da donare ad amici e parenti in questo periodo dell’anno, per buon augurio. Sembra che alla benefica dea Strenia si possa far risalire la figura della Befana, strega propizia che dispensa, anche lei, doni e fortuna.
Legato al solstizio invernale è poi uno degli arbusti simbolo del Natale, il vischio, che gli antichi Celti usavano raccogliere appunto nella sesta notte dopo il solstizio, detta ‘notte madre’, e appendere sulla soglia di casa per assicurarsi la felicità. Presso questo popolo il vischio, pianta semiparassita e sempreverde in genere ospitata da querce e meli selvatici, era considerato magico proprio perché non aveva radici, ma cresceva liberamente sugli alberi librandosi a mezz’aria. Lo coglievano i druidi, tagliandolo con un falcetto d’oro.
Oggi, in occasione del Natale - detto in passato ‘giorno del pane’ - praticamente ovunque si usa mangiar cibi a base di farina, che a seconda delle zone assumono nomi e aspetto diversi: c’è il pandolce di Genova, con uvetta, cedro candito e pinoli; il panpepato umbro, con miele, noci, mandorle, uva passa; la pinza veneta, con i frutti secchi, che si mangia la notte della Vigilia davanti al focolare, come il panforte di Siena; ha un profumo esotico il panvisco barese, di ascendenza turca, in cui il fior di farina si sposa con la densa polvere di Cipro e il vincotto d’uva moscata, carruba o fico.
Alcuni storici fanno risalire l’usanza di mangiar cibi a base di farina all’antica Roma. Qui, infatti, il 25 dicembre, come racconta Plinio il Vecchio, in occasione della festa del Natalis Solis Invicti - istituita per celebrare la rinascita del sole dopo il solstizio invernale - si confezionavano appunto delle frittelle sacre di farinata. I cristiani invece ricordano la frase del Cristo (“Io sono il Pane della Vita”) e il suo incarnarsi nella notte di Natale a Betlemme, in ebraico “casa del pane”, così detta forse perché circondata da campi di grano e destinata dunque a granaio.
Tra parentesi, fu proprio per contrastare il culto pagano del sole, fortemente diffuso a Roma, che la Chiesa decise di celebrare il Natale di Cristo nello stesso giorno del Sole Invitto, con l’intento di sostituire la propria festa a quella pagana, ricca di giochi e cerimonie che attiravano anche i cristiani. Il 25 dicembre è quindi una data convenzionale, che tra l’altro sembra contrastare storicamente con quanto afferma il Vangelo di Luca, secondo cui il Bambino sarebbe venuto al mondo nelle campagne di Betlemme e lì adorato dai pastori che vegliavano di notte guardando le greggi: “Siccome i pastori ebrei partivano per i pascoli all’inizio della primavera tornando in autunno, è evidente che il Cristo nacque tra la fine di marzo e il primo autunno: tant’è vero che fino al principio del IV secolo il Natale veniva festeggiato, secondo i luoghi, o il 28 marzo o il 18 aprile o il 29 maggio” (A. Cattabiani, ‘Lunario’). 


20/12/16

500 anni di Orlando Furioso: Le donne.

Cinquecento anni fa, alla corte degli Estensi di Ferrara, veniva pubblicato per la prima volta il più noto dei poemi cavallereschi della tradizione letteraria italiana: Orlando furioso.
Ludovico Ariosto volle continuare l’opera del Boiardo che aveva scritto l'Orlando innamorato e curò la prima edizione del suo poema con grande meticolosità, conscio che con l’avvento dei caratteri mobili l’Orlando furioso avrebbe valicato i confini della penisola.
La ricorrenza dei cinquecento anni della prima pubblicazione del poema cavalleresco è celebrata a Palazzo dei diamanti di Ferrara con una mostra imperdibile che avrebbe dovuto chiudersi l'8 gennaio 2017, ma che per fortuna è stata prorogata fino al 29.
Anche Il Ciliegio, nonostante lo scadere dell’anno, nel suo piccolo vuole celebrare l’Orlando furioso. Lo fa attraverso l’autrice Bianca Degli Espositi che inaugura oggi un approfondimento dell’opera più famosa di Ariosto. I suoi interventi saranno ospitati sul blog mensilmente.

Orlando furioso 500 anni

Cinquecento anni fa, Ludovico Ariosto pubblicava la prima stesura de l'Orlando furioso. Questo il primo verso:

Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori,

dunque, se vogliamo addentrarci in questo meraviglioso poema, cominciamo da capo:

LE DONNE

Troviamo nella prima strofa la più importante, invocata perché doni l'ispirazione e la tranquillità necessarie alla creazione poetica. Non è una dea, o la solita musa, Ariosto non ne dice il nome, ma si riferisce ad Alessandra Benucci: sua moglie.
Grazie a lei può cominciare la storia, ed è una donna a condurne l'intreccio: Angelica, la più bella, tutti i paladini, cristiani e pagani, ne sono innamorati.
La poveretta, per almeno una ventina di canti, è vittima di un vero stalking di gruppo. Tutti i cavalieri la rincorrono, lei un po' fugge, un po' li prende in giro e un po' ne sfrutta la protezione. Qualcuno mira apertamente a coglierne la verginità Corrò la fresca e mattutina rosa, che, tardando, stagion perder potr ia (I 58), altri sono meno espliciti, ma ugualmente motivati.
Dietro a lei le strade si intrecciano, chi trova un elmo, chi perde l'armatura, chi salva donzelle, chi parte su un cavallo alato, chi si impegola nelle magie, tutti compiono audaci imprese, ma nessuno l'acchiappa. Così la storia ci tiene incantati, un'ottava dopo l'altra.
Finché, al XIX canto, Angelica incontra un Moro, d'oscura stirpe nato in Tolomitta, è bello, d'animo nobile e ferito, si chiama Medoro. Lei lo cura, lo sposa e se lo porta via.  Orlando impazzisce, gli altri pretendenti si danno pace, la narrazione continua.
Inoltre, per dar lustro alla corte in cui lavora, gli Este di Ferrara, Ariosto li fa discendere da Ruggiero, cavaliere eroico, e decisamente propenso a cacciarsi nei guai.
Va detto che è pagano, ma ne l'Orlando furioso vige la par condicio e questo è un problema facilmente superabile per una donna innamorata come Bradamante, la cristiana dall'armatura candida.
La bella guerriera, i biondi capelli raccolti nell'elmo, dovrebbe dare man forte a Carlo contro i Mori, invece rincorre Ruggiero lungo tutto il poema. Lo tira fuori da un castello incantato e dalle braccia sensuali della maga Alcina, lo contende a Marfisa, simpaticissima eroina pagana ben decisa a tenerselo stretto. Alla fine lui si converte, Bradamante lo sposa e gli Estensi hanno la loro nobilissima origine.
Infilate nei canti le donne di Ariosto sono molte. Quasi tutte belle, quasi tutte buone e tutte molto innamorate. Mai fino al punto da venire in furore e matte, sanno mettersi in salvo (dagli uomini e dai maghi), sfruttare abilmente le situazioni e raggiungere i loro obiettivi. Il poeta le guarda con ironia affettuosa, scrive che forse l'invidia, o il non saper degli scrittori, ascosi han loro debiti onori (XX 3).
Isabella, Fiordiligi, Olimpia c'è anche la vecchia rompiscatole Gabrina, vale la pena di conoscerle tutte.
Il libro porta benissimo i suoi cinquecento anni. Dunque cominciamo:
Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori

Bianca Degli Espositi
Bianca Degli Esposti è nata nel 1952 ha conseguito la laurea in Filosofia a Bologna, ha insegnato per nove anni letteratura italiana nei licei internazionali in Francia e in Marocco e ha collaborato con l’Istituto di Cultura Italiano a Rabat. Ora è in pensione e vive a Mentone. Insieme ad Annamaria Zucconi forma il duo delle signore in giallo de Il Ciliegio. Hanno pubblicato L’appartamentode Place Garibaldì (2016); pubblicheranno nel 2017  il secondo romanzo L’immobiliare dei fratelli Morin.







05/12/16

La mappa e l'Ascari a Più libri più liberi

Giovedì 8 dicembre
Sala Corallo, ore 17,00
La mappa e l’Ascari
Incontro con l’autore
Andrea Fraschetti


La mappa e l'Ascari
ROMA – Sarà presentato a Più libri più liberi il romanzo La mappa e l’Ascari di Andrea Fraschetti, edito da Edizioni Il Ciliegio. L’incontro si svolgerà presso la Sala Corallo, giovedì 8 dicembre, alle 17,00.

Si tratta del terzo romanzo dello scrittore romano e segue Le lacrime di Odino e Il mistero della legione perduta. Una trilogia storico-thriller suggestiva e avventurosa.

Irene Fraschetti introdurrà l’incontro mentre Marco Lucchetti, giornalista e scrittore, approfondirà le note storiche che fanno da sfondo al romanzo. Previsto anche un reading di alcuni brani tratti da La mappa e l’Ascari. L’autore affronterà poi la genesi del romanzo e racconterà alcuni aneddoti riguardanti la stesura del libro. Alla fine sarà lasciata al pubblico la possibilità di rivolgere allo scrittore qualche domanda. La presentazione terminerà con i saluti e un veloce rinfresco.



Andrea Fraschetti
«La genesi di questo libro è curiosa. Tutto è nato da una sfida che il mio amico Marco Lucchetti mi ha lanciato, forse scherzando, forse no – spiega Andrea Fraschetti - Mi suggerì di riscrivere la storia dell’Arca Perduta. Risposi che Spielberg l’aveva già fatto, ma lui obiettò che quella del regista era una storia fantasy, con spiriti che uscivano dall’Arca per uccidere i nazisti. È stato così che ho iniziato a considerare di raccontare una storia più plausibile. Ho fatto delle ricerche e ho scoperto che alcune fonti riportano che l’Arca dell’Alleanza fu conservata, in gran segreto, in una chiesa copta in Etiopia. A parte le ovvie considerazioni su segretezza e veridicità dell’informazione, mi colpì la localizzazione. L’Etiopia attuale è l’antico regno di Saba. E qui la fantasia ha cominciato a galoppare: Salomone, Arca, Saba, Etiopia, guerre coloniali italiane. Mancava l’aggancio con l’era moderna e me l’ha dato Internet. Il colpo di scena finale, invece, un mattino alle quattro. Il resto è la storia del team, ormai collaudato, dei professori universitari che a vario titolo collaborano in una visione tecnologica dell’archeologia, professori che, nel tempo libero, si divertono a suonare in un gruppo rock.»



25/11/16

Chi trova un amico è iscritto su Facebook...

di Viviana Bardella


Con l'avvento dei social network, la parola amicizia è sulla bocca o meglio, sulle tastiere di tutti. 
Chi non è iscritto a Facebook o Twitter, divenuti negli ultimi anni dei veri e propri status symbol, è praticamente fuori dal mondo.
Un eremita impossibilitato a comunicare con chi lo circonda.
Si postano stati d'animo, foto e avvenimenti, in attesa di riscuotere quanti più like possibili.
Si lasciano scie di cuoricini o emoticon sorridenti sulle bacheche di benemeriti sconosciuti, ostentati come amici ma che in realtà non riconosceremmo nemmeno, semmai capitasse d’incrociarli per strada.
Martedì libera uscita
Pur di scrivere qualcosa ci si improvvisa poeti, esperti di politica,  allenatori di calcio e, quando da scrivere resta ben poco, si caricano le foto della torta fatta in casa, avendo cura di specificare che la ricetta è la stessa usata da nonna Papera nel numero xxx di Paperino & Company.
Si ricevono e si mandano centinaia di richieste d'amicizia, perché tutto diventa più facile attraverso una tastiera. Le emozioni si celano e si può diventare chi si è sempre desiderato essere. Insomma, un mondo popolato da molti personaggi e da poche persone. Un circolo vizioso e virtuale che condiziona le nostre vite, tanto più che a un certo punto sarebbe meglio frenare la corsa e chiedersi: ma come funzionava prima?
Semplice... prima era tutto reale!
Gli amici erano coloro che si vedevano ogni giorno a scuola, che venivano a casa a fare i compiti, che si andavano a chiamare, usando il buon vecchio citofono.
Quelli con i quali si trascorreva la giornata, tra una partita di pallone e una passeggiata in bicicletta.
Gli stessi con cui si litigava per un’inezia o magari ci si confidava per conquistare il ragazzo o la ragazza che ci faceva battere il cuore.
Prima c'erano le cosiddette compagnie. Un gruppo di quindici, venti o più persone, che il sabato o la domenica pomeriggio andavano al cinema o in discoteca. Che si riunivano a casa di qualcuno (di solito stipati in una minuscola cameretta), per giocare al gioco della bottiglia.
Prima... quando il terzo millennio era ancora un futuro lontanissimo.
Quando nessuno immaginava che potesse segnare e cambiare tanto profondamente il modo di comunicare e interagire con le persone.
Prima... quando abbracciare un amico aveva ancora un senso e, in quell'abbraccio,  vi si trovava tutta la solidarietà di cui si aveva bisogno.
Quando le partite di Risiko duravano intere settimane e il tabellone, sul tavolo, diventava tutt'uno con l'arredamento.
Quando un bicchiere di vino in cartone sembrava buonissimo, solo perché lo si beveva in compagnia.
Prima... quando Gino Paoli cantava: "Eravamo quattro amici al bar, che volevano cambiare il mondo..."

Martedì libera uscita...si salvi chi può
Secondo romanzo di Viviana Bardella
che ha per protagoniste
4 simpatiche e confusionarie amiche.
In uscita nelle librerie
in questi giorni di novembre

Viviana Bardella è nata a Milano nel 1973, città dove attualmente vive, in compagnia della sua famiglia. Da sempre appassionata di letteratura, accanita lettrice di libri di ogni genere, nel 2012 realizza il suo sogno nel cassetto e pubblica il suo primo romanzo: AAA Principe Azzurro Cercasi, seguito da Ho sposato il principe... ridatemi il rospo (2014) e Martedì liberauscita (2015) e Martedì liberauscita… si salvi chi può (2016) 

21/11/16

Il Ciliegio a Più libri più liberi

È prevista per domani mattina, alle 11,00, presso la Camera di Commercio di Roma, la conferenza stampa di Più libri più liberi, la Fiera Nazionale della Piccola e Meda Editoria. La manifestazione, ricca di appuntamenti (più di 300), si svolgerà da mercoledì 7 dicembre a domenica 11 dicembre 2016 e sarà allestita al Palazzo dei Congressi di Roma dell’Eur.
Si tratta di una fiera molto importante dedicata all’editoria indipendente, dove ogni anno oltre 400 editori, provenienti da tutta Italia, presentano le proprie novità e il proprio catalogo. Nei cinque giorni in cui avrà luogo la kermesse romana sarà possibile incontrare autori, assistere a reading e performance musicali, ma anche partecipare a dibattitti che riguardano direttamente il settore editoriale. A organizzare l’evento è l’AIE (Associazione Italiana Editori).

Nata nel dicembre del 2002 da un’idea del Gruppo Piccoli Editori dell’AIE, Più libri più liberi ha come obiettivo quello di offrire al maggior numero possibile di case editrici uno spazio che possono sfruttare per far conoscere la propria produzione. Si tratta dunque di una vetrina eccezionale che si svolge anche in un periodo particolare dell’anno, a ridosso delle festività natalizie.
Cuore della fiera è anche il vasto programma culturale. Molti saranno gli autori internazionali che prenderanno parte a #plpl, tra questi ci sarà la svedese Lena Andersson.

Edizioni Il Ciliegio non poteva mancare all’appuntamento e infatti sarà presente con i suoi libri e alcuni dei suoi autori allo stand A12.

Giovedì 8 dicembre, nella sala corallo, sarà presentato il libro di Andrea Fraschetti La mappa e l’Ascari. Si tratta del terzo romanzo scritto dall’autore romano dopo Le lacrime di Odino e Il mistero della legione perduta. I libri fanno parte di una trilogia che ha come protagonisti sempre gli stessi personaggi che di volta in volta assumono un ruolo principale o secondario. Fraschetti è un autore capace di miscelare sapientemente i generi letterari: dal thriller alla fantascienza al romanzo storico.

La mappa e l'Ascari
Re Salomone, preoccupato per la sorte del Regno di Israele, invia l’Arca dell’Alleanza presso la regina di Saba. A seguito di un naufragio e di un attacco dei predoni, l’arca finisce perduta. Viene ritrovata per caso in una grotta, durante la prima campagna d’Etiopia, nel 1896, da un ufficiale italiano, il tenente Tunetti, che disegna una mappa muta del luogo, prima di morire nella battaglia di Adua. Dopo mille traversie la mappa verrà ritrovata anni dopo in un baule di cimeli e venduta su e-bay. Entra così in scena il team di archeologi americani diretto da Ryan Johnes. Con Gary e Pratap, coadiuvati dalla collega italiana Francesca, contattano Andrea, il discendente di Tunetti, che li accompagnerà in Africa. I quattro archeologi americani finiscono vittime dei mercenari eritrei e solo dopo varie peripezie riusciranno a ritrovare l’arca e a consegnare il reperto alle autorità, ma le loro avventure non sono finite, così come le sorprese che ancora dovranno rivelarsi.
Cinque storie, lontane nello spazio e nel tempo, legate dal sottile fil rouge di una mappa misteriosa. Un intreccio di avventure mozzafiato che vi trascinerà dal mercato elettronico di e-bay alle sabbie del deserto, dalla leggendaria saggezza di re Salomone alla tragedia del terrorismo contemporaneo; dalle ambe etiopiche, attraverso gli orrori di tre guerre, fino al Sudafrica, in un vortice di avventure, emozioni e colpi di scena.

Allo stand de Il Ciliegio, nel corso della manifestazione, non mancheranno Lorenzo Camerini e Andrea Gualchierotti che dopo il successo di Gli eredi diAtlantide, nel 2017 si accingono a pubblicare Le guerre delle piramidi, secondo episodio del loro primo romanzo d’avventura.

Gli eredi di Atlantide
Un’immane catastrofe segna la fine del mondo antico e l’inabissamento di Atlantide. Solo un piccolo gruppo di sopravvissuti, prescelti dal destino, riuscirà a sfuggire al cataclisma. Custodi di una reliquia ancestrale i componenti del gruppo sono gli ultimi discendenti del sangue di Atlantide. Ad attendere questi eroi sarà un lungo viaggio attraverso terre misteriose e primigenie. Vivranno un’epica odissea per i mari di un mondo pericoloso e sconosciuto, nemici mortali che si nascondono nell'ombra, fino alla scoperta dell’ultimo, sconvolgente segreto, che cambierà per sempre il destino degli uomini.


Per chi ama il genere poliziesco le Signore in giallo de Il Ciliegio, Bianca Degli Espositi e Annamaria Zucconi, saranno pronte ai firma-copia del romanzo L’appartamento di Place Garibaldì. Nel marzo 2017 uscirà il secondo libro scritto a quattro mani dalle autrice bolognesi e si intitolerà L’immobiliare dei fratelli Morin.

L'appartamento di Place
Garibaldì
Ambientato tra Londra e la Costa Azzurra, in modo particolare a Nizza, L’appartamento di Place Garibaldì è un avvincente giallo che ha per protagonista Elena Franchi, cinquantenne insegnante di storia dell’arte trasferitasi da Bologna a Nizza, dove ha aperto un’impresa di pulizia. Tutto si complica quando un cliente della signora Franchi – il giovane Cyril Weston, rampollo di una nobile famiglia londinese proprietaria di un appartamento nell’elegante Place Garibaldì, a Nizza – le consegna cinquemila euro in contanti perché faccia cambiare la moquette del lussuoso appartamento, irrimediabilmente macchiata di vino. Cosa nasconde in realtà il giovane Cyril?


Giovanna Mancini, autrice ed editrice de Il Ciliegio, per tutta la durata della fiera sarà invece a disposizione dei lettori per raccontare la storia della Casa Editrice, ma anche per fare delle dediche personalizzate al best seller Ipensieri degli Angeli – Parole di luce e di Amore.

I Pensieri degli Angeli
Chi ci crede lo sa, chi stenta a crederci lo spera: gli Angeli sono accanto a noi. Sono le loro mani, forse le loro ali, a darci conforto, abbracciarci, spingerci con amore nella giusta direzione. E quel loro tocco si fa parola in questo piccolo libro di luce, I pensieri degli Angeli, da leggere una pagina dopo l'altra, oppure andando a cercare l'Angelo che ha il colore o l'energia che sentiamo o vorremmo sentire più affine a noi, oppure ancora semplicemente aprendolo e "ascoltandolo".









 

15/11/16

Il codice paterno insegna a costruire l’autostima dei nostri figli

In una società sempre più sfaccettata e dove i ruoli all’interno della famiglia non sono più quelli tradizionali del secolo scorso, sempre più genitori si pongono delle domande che riguardano l’educazione dei propri figli. Laura Romano, nei suoi libri, offre spesso delle linee guida che affondano le radici nell’analisi sociologica e pedagogica della vita quotidiana.
Il suo libro Paterno, paternità, padre ha ottenuto nei giorni scorsi il marchio della MicroEditoria di Qualità a Chiari.  Di seguito vi proponiamo un articolo che Romano ha scritto appositamente per il blog de Il Ciliegio. 

Paterno, paternità, padre
Ormai da alcuni decenni, l’informazione, la letteratura scientifica, il senso comune segnalano l’assenza del padre, della sua figura e del suo ruolo e la mancanza di quello che viene definito il codice paterno – ovvero un particolare stile e approccio educativo – in famiglia come nelle istituzioni formative ed educative (in primis, la scuola); ovviamente, a tale assenza, a tale mancanza fanno da correlato atteggiamenti e comportamenti di bambini e ragazzi che inquietano e, talvolta, allarmano genitori, insegnanti ed educatori.
Sempre più spesso si sente parlare di generazioni del “tutto e subito”, di ragazzi privi non soltanto di valori, ma anche di progettualità, di obiettivi, nei quali sembrano non radicarsi mai autonomia, autoreferenzialità e senso di responsabilità personale, quasi si trattasse di un vuoto etico incolmabile.
Il passo successivo è quello di affermare, sconsolati, che è venuta meno la società educante; a partire dalla famiglia e via via facendo riferimento ad ogni altro contesto nel quale le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi trascorrono il loro tempo, fanno le loro esperienze, si confrontano con un sociale via via più allargato e complesso, l’amara constatazione è che qualcosa di estremamente rilevante sia andato perduto.
Ma cosa, esattamente?
A mio avviso, ciò che è andato perduto – o, meglio, che risulta carente, in modo più o meno marcato – è appunto il codice paterno.
Una precisazione appare essenziale: il codice paterno non attiene soltanto all’uomo/padre, bensì è presente – evidentemente – anche nella donna/madre (così come viceversa); il codice, infatti, va inteso come un particolare stile educativo, come un peculiare approccio pedagogico, come la volontà e la capacità di porsi in relazione offrendo alcuni elementi imprescindibili per un armonico sviluppo della personalità.
Se il codice materno – essenziale, soprattutto nelle prime fasi di vita del bambino – offre accoglienza, contenimento, supporto, soddisfacimento dei bisogni, amore incondizionato, protezione…. – il codice paterno insegna che vi sono limiti e regole, che occorre provarsi anche nelle difficoltà, tollerare le frustrazioni e le fatiche cui la vita inevitabilmente espone; che è necessario saper differire la gratificazione e impegnarsi per raggiungere i propri obiettivi; il codice paterno richiede di mettere in gioco capacità, competenze, abilità e di impegnarsi per gestire i propri punti di debolezza, ovvero indica la via per costruire un’autentica autostima.
Il codice paterno educa alla reciprocità, all’autonomia, all’autoreferenzialità e, soprattutto, all’assunzione di responsabilità, senza scorciatoie che cancellino le delusioni, gli inevitabili fallimenti, le frustrazioni, gli errori.
L’assenza - o la carenza - di tale codice, dunque, produce personalità fragili e, contemporaneamente, pretenziose, convinte che tutto sia dovuto, che ogni bisogno possa essere soddisfatto, che la fatica e l’impegno personale non siano richiesti o necessari.
È in questo senso, quindi, che c’è bisogno di padre, del suo ruolo, della sua figura educativa; il codice paterno, evidentemente, è complementare a quello materno, ma altrettanto indispensabile se si desidera accompagnare nel loro percorso le donne e gli uomini di domani.


Laura Romano
Laura Romano Laura Romano è nata a Como nel 1969. Laureata in Lettere Moderne e in Scienze dell’Educazione, svolge attività libero professionale in qualità di consulente educativa e formatrice. Lavora presso il proprio studio privato di consulenza pedagogica e svolge collaborazioni professionali presso vari Enti pubblici e privati in aree e ambiti differenti (salute mentale, infanzia, adolescenza, terza/quarta età). Particolarmente interessata alle tematiche relative all’adolescenza e alla femminilità, ha pubblicato Sereno variabile. Ascoltare gli adolescenti e capire quando preoccuparsi; Lividi. Storie di donne ferite; Come le fasi della Luna. Pedagogia della femminilità. Con Edizioni Il Ciliegio ha pubblicato La fiaba e la figura femminile e Giochi e giocattoli

25/10/16

E..Qui..Libri!

Si è svolta a Lurago d’Erba, sabato 22 e domenica 23 ottobre, “E..Qui..Libri!” la fiera dell’editoria indipendente. Sedici gli editori che hanno aderito alla kermesse, otto gli incontri con gli autori e le autrici, tantissimi i libri esposti. La manifestazione è stata organizzata dall'amministrazione comunale dopo anni che un’iniziativa analoga era stata interrotta anche grazie a Edizioni Il Ciliegio.
Ma perché è importante la piccola editoria? Lo abbiamo chiesto direttamente ai protagonisti della fiera.







07/10/16

Inaugurata la prima settimana sulla dislessia.

Paola Vitale
Questi giorni, dal 4 al 10 ottobre, sono i giorni della prima settimana nazionale sulla dislessia, organizzata da AID (associazione italiana dislessia). L’evento, a sei anni dall’entrata in vigore della legge 170 che ha sancito il diritto alle pari opportunità scolastiche per gli alunni con dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia, vuole accendere i riflettori su queste problematiche, ancora troppo poco conosciute. Coinvolgerà quasi un centinaio di città italiane, e consisterà in numerose iniziative di sensibilizzazione decisamente necessarie, se si tiene conto che le stime parlano di un milione e novecentomila persone colpite.
Si tratta di un disturbo molto debilitante. Per rendercene conto, basta guardare uno dei tanti video in rete che simulano le difficoltà incontrate dai ragazzi dislessici durante la lettura. Le lettere appaiono sconnesse, ribaltate, alterate. Per intuirne il senso occorre intraprendere una lotta che sfianca dopo sole poche righe.
Se si considera che questo disturbo dello sviluppo non ha correlazione con le capacità intellettive del soggetto, e dipende unicamente dalle diverse modalità di funzionamento delle reti neuronali coinvolte nei processi di lettura, scrittura e calcolo, si può intuire come il disagio possa risultare addirittura aumentato in chi ne soffre.
Un dislessico vive continuamente l’esperienza davvero frustante di rimanere impantanato in concetti che se ascoltati, invece che letti, apprenderebbe normalmente.
Da qui la necessità, ormai impellente, di sensibilizzare gli insegnanti, i genitori, e la società in generale, a non sottovalutare o a mal interpretare questo disagio. La dislessia può essere una difficoltà, non un limite. Come ogni difficoltà deve essere percepita come una potenzialità di arricchimento, per chi ne soffre, ma anche per chi gli sta intorno.

Questo dovremmo fare di fronte a un alunno dislessico. Semplicemente provare a entrare, per mano, nel suo mondo di lettere ingarbugliate “come magnifici cavalli dalla criniera scompigliata, al galoppo nella prateria. O vivaci come scimmiette, aggrappate alle loro liane nella giungla. O pesciolini indaffarati tra gli anfratti misteriosi di un mare tropicale.” Includendolo nel nostro, di mondo, un po’ più ordinario.

Il meraviglioso mondo delle doppie perdute
Paola Vitale, dopo aver conseguito a Padova laurea e dottorato di ricerca in biologia dello sviluppo, dieci anni fa sceglie di tornare a vivere nel paese di origine, in Salento. Lì insegna con passione e coniuga il suo amore per l’approccio scientifico con quello per la letteratura per ragazzi organizzando, con vari autori, laboratori di scrittura creativa e editing riguardanti tematiche ambientali, ottenendo numerosi riconoscimenti nazionali in questo campo educativo.







L’attore americano Henry Winkler, interprete del celebre personaggio Arthur Fonzarelli nella sitcom Happy Days, ha dichiarato pubblicamente la propria dislessia. Un disturbo che non gli ha impedito di avere una brillante carriera da attore e persino da scrittore. 
L'articolo: Ero dislessico, l'ho capito a 30 anni...



























26/09/16

L'anoressia, un male subdolo che può essere vinto

L’anoressia è una malattia subdola, che s’insinua nella psiche delle persone modificandone la vita e che alle volte può avere anche conseguenze drammatiche. Marta Zanni, autrice del romanzo “Vittoria!”, in questo interessante articolo scritto per Il Ciliegio, descrive bene il presentarsi dei sintomi dell’anoressia e spiega dove e come e a chi chiedere aiuto.

Marta Zanni
L’anoressia è una malattia subdola, uno di quei serpenti che s’insinuano in silenzio nella quotidianità. Non ci si accorge di soffrirne e a volte si arriva a negare l’evidenza di esserne affetti. Nessuno sa dare una data certa d’inizio della malattia. In realtà ci si chiede spesso se esista una partenza, o se si nasca con dentro il seme di quella gramigna.
Nella stragrande maggioranza dei casi si comincia usando il cibo come arma per attirare l’attenzione su di sé. Importante è sottolineare che non ci si ammala volontariamente: a volte è come un voler attraversare la strada consci che un tir stia arrivando a gran velocità, ma altrettanto sicuri che noi saremo più scaltri e nessuno si farà male. Purtroppo ci si trova spesso a venire spiattellati al suolo.
Ridurre le quantità di cibo non basta più: si cominciano a saltare i pasti, a star bene con se stessi solo se si avverte la sensazione dello stomaco che si auto digerisce. L’asticella si alza sempre di più: ogni risultato raggiunto deve essere superato perché diventa subito insufficiente. La caparbietà con cui si cerca l’attenzione degli altri senza comunicare i propri sentimenti, se non attraverso il digiuno o il vomito, si acutizza. Da qui una cascata di sintomi di varia natura: manie di controllo del peso, ripetizione delle azioni, tentativi di raggiungere un’ipotetica e inesistente perfezione che ci farà cessare qualsiasi sofferenza. Tutto è però solo un vortice che porta inesorabilmente ad annientare  corpo e mente, lasciando a brandelli certezze e affetti.
Lo specchio diventa il solo amico del quale fidarsi, ma allo stesso tempo si trasforma in un sadico aguzzino capace di farci vedere ciò che in realtà non è. Le aberrazioni visive cominciano a farsi spazio tra le sinapsi, facendo percepire enorme la figura riflessa che abbiamo di fronte. L’ansia cresce perché un corpo non perfetto non può appartenere a chi soffre di anoressia o di bulimia. È come se si cercasse di usare il proprio involucro per trovare la sicurezza che all’interno di se stessi non si riesce a scorgere.
Proprio per il suo mescolarsi silenzioso con abitudini quotidiane, non ci si accorge della tenaglia che subdola porta a soffocare la vita. Sono familiari, amici e insegnanti a comprendere che c’è qualcosa che non va. Cercare tempestivamente aiuto ai primi segnali potrebbe essere sintomo di una guarigione repentina, un riportare nella giusta rotta il proprio caro. Più si lascia trascorrere il tempo, maggiore è il rischio che la patologia si mescoli con la persona, diventando un tutt’uno. Risulta difficile, infatti, estirpare abitudini consolidate negli anni: per affrontare la patologia ormai cronicizzata è necessario sconvolgere le abitudini del soggetto, che avvertirà certamente l’ansia di far scomparire con un colpo di spugna tutti gli atteggiamenti che quotidianamente gli suscitavano un senso di sicurezza.
Esistono centri specializzati ai quali rivolgersi anche solo per un semplice sospetto di essere affetti da un qualsiasi disturbo alimentare, attivi anche per consulenze a parenti e amici bisognosi di chiarimenti o indicazioni. Da segnalare il sito www.disturbialimentarionline.it, dove viene raccolta la mappatura delle strutture dedicate ai DCA in Italia. Effettuando una semplice ricerca filtrata anche per regione e provincia, si potranno trovare i recapiti di ambulatori, day hospital, ricoveri ospedalieri e riabilitazione residenziale sia pubblici sia privati.
Lo scoglio principale da superare è il timore di parlarne: rivolgendosi a professionisti che lavorano quotidianamente per combattere il problema farà sentire a proprio agio paziente e familiari. All’interno di strutture specializzate scomparirà il timore di essere etichettati: i medici sapranno parlare la lingua giusta e la possibilità di confrontarsi con persone affette dallo stesso disturbo potrà creare sinergie per la propria rinascita.


Edizioni Il Ciliegio

Marta Zanni è nata a Torino nel 1975 e risiede a Venezia, dove lavora come impiegata in banca. Con le sue opere è stata finalista in vari concorsi letterari. Ha partecipato a Masterpiece, reality sul mondo della scrittura andato in onda su Rai 3. “Vittoria!” è il suo romanzo d’esordio, seguirà il romanzo “Il coraggio del disertore” che sarà pubblicato nel marzo del 2017. Collabora con un'associazione che si occupa di sensibilizzare l'opinione pubblica sui problemi causati dai disturbi alimentari.






22/09/16

"Lo stato dell'arte": la libreria della micro e della piccola editoria presentata da Il Ciliegio

Lo stato dell'arte
C’è ancora chi ci crede, e fa bene. A Treviglio, in provincia di Bergamo, in un bel porticato del centro storico, due ex dipendenti di una multinazionale, Paolo Tinnirello e Stefano Carotti, hanno deciso di aprire una libreria. Ma poiché aprire una libreria tradizionale non li solleticava più di tanto hanno deciso di puntare soprattutto sulla micro e sulla piccola editoria. 
Un progetto fuori dagli schemi che potrebbe fare scuola. A riempire gli scaffali di questo moderno caffè letterario ci sono anche molti libri de Il Ciliegio.



Intervista a Paolo Tinnirello
                                                                                                        

29/07/16

Non solo libri

Non solo libri, ma anche cinema. Dopotutto, il cinema, fin dall'avvento delle prime pellicole  si è alimentato di storie tratte dai libri, ma è successo anche il contrario. Ciò che accomuna le due forme di espressione è dunque sempre il desiderio innato dell'uomo di raccontare e raccontarsi.

The Dressmaker - Quando il diavolo si veste di rosso


The Dressmaker - Il diavolo è tornato (The Dressmaker) è un film del 2015 scritto e diretto da Jocelyn Moorhouse, basato sull'omonimo romanzo di Rosalie Ham.
Protagonista del film è Kate Winslet nel ruolo di Myrtle "Tilly" Dunnage, affiancata da Judy Davis, Liam Hemsworth e Hugo Weaving.


Allora, oggi vi parlo d'un film che ho visto l'altra sera a una rassegna estiva di quelle che ti propongono i film della trascorsa stagione a un prezzo abbastanza irrisorio, motivo per cui d'estate io mio marito e mia figlia ci spariamo minimo tre pellicole a settimana nell'ombrosa frescura della multisala di quartiere sostanzialmente deserta - eccetto quelle nove o dieci persone malate di cinema come noi. L'atmosfera in queste occasioni è un po' quella delle vecchie sale di paese, si parla a voce non tanto bassa fino a un secondo prima dell'inizio e c'è sempre qualche bambino che non ha capito e chiede spiegazioni a gola spiegata nel bel mezzo delle scene clou.
Il film (scritto e diretto da Jocelyn Moorhouse e basato sull'omonimo romanzo di Rosalie Ham) s'intitola The Dressmaker – Il diavolo è tornato e si svolge in Australia negli anni '50. Siccome l'Australia e gli anni '50 sono tra le mie condizioni esistenziali favorite, sulla carta c'erano buone probabilità che il film mi piacesse, ed ecco che in effetti mi è piaciuto. C'è Kate Winslet che fa la modista a Parigi e torna nel desolato avamposto del deserto australiano che l'ha vista nascere, indesiderato frutto della colpa commessa dalla madre (una come sempre fantastica Judy Davis) con un maggiorente del posto, infido, malvagio e ipocrita come molti maggiorenti di paese degli anni '50.
Sebbene all'inizio venga spontaneo pensare che lei sia tornata per prendersi una rivincita mostrando i propri favolosi outfit alle inguardabili matrone locali, nella sua riapparizione tra quelle misere capanne e polverose viuzze c'è in effetti qualcosa di più: cacciata dal paese appena undicenne perché accusata dell'assassinio di un suo compagno di giochi (benché non proprio di giochi si possa parlare, quanto piuttosto di deliberati atti di bullismo lucidamente perpetrati ai danni dell'anello debole, la piccola illegittima senza santi in paradiso) Kate in realtà è tornata per dimostrare la propria innocenza agli altri e anche a sé stessa, visto che di quell'evento così traumatico la sua memoria non ha serbato traccia alcuna.
Per questo, dopo un'inutile serie di tentativi d'indurre la madre a raccontare (frustrati dalla ferrea svagatezza di quest'ultima, che finge di non riconoscerla per metà del film) l'indomita ragazza ha l'idea di procurarsi le informazioni che le servono vendendo la propria abilità di modista alle infagottatissime signore e signorine che le girano intorno a cigli in su - e la trasformazione di queste allampanate e riarse ragazzotte in splendidi ancorché temporanei uccelli del paradiso dagli stravaganti piumaggi bianchi, neri e fucsia è una delle improvvise magie del film. Armata solo di ago e filo e del proprio mento deciso Kate riesce così a ricucire anche la propria storia: che, com'è ovvio, non la vede colpevole ma vittima della compatta tessitura di bugie e sortilegi dei benpensanti locali, ansiosi di far fuori il diverso, il corpo estraneo conficcatosi per sbaglio nel ventre molle della comunità.
Dopo aver smascherato chi sapeva e non ha parlato o, peggio, chi sapeva e ha deliberatamente alterato la verità pur di espellerla, a Kate, rimasta trionfalmente sola sulla scena del crimine - e cioè l'intero villaggio, una decina di capanne di legno in tutto, i cui abitanti vestiti a festa si sono allontanati in massa per recarsi nel paese vicino ad assistere a una competizione locale - non resta che sciogliere uno dei suoi campioni di lucida seta rosso sangue fuori dalla porta della piccola casa sulla collina: cosparso di benzina e dato alle fiamme, il nastro di fuoco si snoda tra quelle pretenziose catapecchie come un serpente affamato e vorace, non lasciando in piedi che uno scheletrico gruppo di rovine. Lei, intanto, ha già preso il treno che la porterà via per sempre.
A me di questo film sono piaciute: la scena in cui Kate convince il tormentato poliziotto locale a prestarle aiuto facendogli balenare la promessa d'un meraviglioso boa di struzzo rosso; lo stesso poliziotto colto in relax coi piedi sul tavolo e abbigliato di tutto punto con berretto, cinturone, divisa e scarpette di raso rosa da ballerina allacciate dietro (data l'inquadratura, i piedi si vedono per ultimi e finiscono per occupare tutto lo schermo, melliflui e irresistibili come il muso di Kaa nel Libro della giungla della Disney); quando Kate torna nella lurida casetta dove la madre vive in stato d'abbandono e si dà da fare a ripulire tutto (come direbbe Guido Gozzano, in me rivive l'anima d'una governante inglese dell'Ottocento, lo so); i vestiti che indossa, a dominante rosso bordeaux, il mio colore preferito, così orgogliosamente piccoloborghese; l'Australia in sé per sé, che dev'essere un posto da pazzi; la battuta “Non parlare a me d'imbarazzo”, pronunciata dal figlio unico di madre vedova; i dolcetti all'hashish e l'innocente scatola di latta a fiori in cui vengono portati in dono; il sorriso che aleggia sulle labbra della vecchia signora addormentata mentre il marito, un insopportabile tanghero, affoga inascoltato nello stagno dietro casa. 
Ma soprattutto mi piace l'allegra ferocia con cui si raccontano il dolore e il sangue nascosti sotto l'implacabile perbenismo di questo paesino australiano degli anni '50 e dei tantissimi paesini australiani che ci circondano. In qualcuno, forse, ci abitiamo pure noi.
Alla prossima.

Paola Rocco